domenica 22 marzo 2009

La scienza, il suono, l'inglese e Lord Ringwood


LA SCIENZA, IL SUONO, L'INGLESE e "LORD RINGWOOD".

di Francesco Quartana


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La Musica di Osiride - …quasi un Prologo

"[...] Le stelle sbiadiscono come il ricordo nell'istante che precede l'alba. Il sole appare basso a est, dorato come un occhio aperto. Ciò che può essere nominato deve esistere. Ciò che viene nominato può essere scritto. Ciò che è scritto deve essere ricordato. Ciò che è ricordato vive. Nella terra d'Egitto va errando Osiride [...]”

dal “Libro dei morti degli antichi egizi”




Lord Carnarvon: «Riuscite a vedere qualcosa?»

Howard Carter: «Sì, cose meravigliose.»

da Howard Carter (1874-1939), “Tutankhamen”, Rizzoli (1973)




Egitto, Valle dei Re, 1323 a.c.
in un giorno di primavera

Il sole appariva basso a est, dorato come un occhio aperto, quando il sommo sacerdote entrò all’interno della tomba per controllare che nulla fosse stato dimenticato. Gli bastò dare una rapida occhiata ai vari locali per accorgersi che ogni cosa si trovava esattamente laddove era necessario che fosse.

Raggiunta la camera funeraria, si avvicinò con passo felpato allo scrigno di quarzite gialla e si chinò sui sarcofagi interni, ancora aperti, illuminandoli con la luce della lampada ad olio. Gli occhi della maschera luccicarono ed il blu lapislazzuli del contorno si accese come se il tutto vivesse di vita propria.

Non c’era ancora la piccola corona di fiori preparata dalla giovane vedova, che sarebbe stata deposta solo sopra una delle bare più esterne, ma ciò che si vedeva muoveva già a profonda commozione.

L’uomo rimase qualche istante in silenzio, disorientato dalla bellezza delle finiture e dai riflessi dell’oro, e non ebbe alcun dubbio: Osiride avrebbe accolto con somma gioia il Faraone fanciullo nel suo regno senza fine.

All’interno di quel luogo sacro, in cui ogni oggetto era stato posizionato non a caso, ma seguendo un disegno prestabilito, il sacerdote guidò l’erede del Faraone nella celebrazione del solenne “Rituale dell’apertura della bocca”, lo stesso a cui rimandavano gli splendidi dipinti alle pareti, in cui il defunto, raggiunto l’aldilà, veniva accolto dalla dea Nut e, successivamente, dal dio Osiride, pronto a cingerlo in un abbraccio di comunione.

Terminato quel rituale, l’uomo diede disposizioni affinché lo scrigno più interno – quello appunto di quarzite, contenente l’uno dentro l’altro i tre sarcofagi in cui era custodito il corpo del Re - venisse sigillato; poi si diresse verso l’anticamera.

Una statua di Anubis, posta all’ingresso, sembrava scrutarlo silenziosamente.

Muovendosi a stento tra gli innumerevoli oggetti già stipati nel locale, il sacerdote raggiunse quello che era sicuramente il più bello: un trono di legno ricoperto interamente d’oro e arricchito di intarsi in vetro e ceramica.

Se ogni parte di quell’oggetto era stata lavorata con cura, lo schienale in particolare rappresentava un ineguagliabile capolavoro di pittura ed oreficeria. Vi si vedeva raffigurata la Regina intenta a cospargere il corpo del Faraone, assiso di fronte a lei, di un qualche unguento o profumo. L’espressione dei loro volti era serena e felice, messa in risalto ancora una volta da un intenso blu lapislazzuli e dai benefici raggi di Ra che illuminavano la scena dall’alto.

L’uomo rimase qualche istante a contemplare quella meraviglia, quindi tracciò dei segni invisibili sulla seduta; successivamente, liberò dalla sottile copertura di lino, in cui erano avvolti, due oggetti che aveva portato appositamente con sé in quel luogo.

Due piccole trombe, una di bronzo e oro e l’altra d’argento, luccicarono alla debole luce della lampada, prima di venire deposte con cura proprio sopra lo splendido trono dorato: avrebbero guidato il giovane Faraone nel lungo e periglioso viaggio attraverso il Duat, dalle tenebre fino alla luce dell’aldilà e, quindi, al Giudizio del dio dei morti.

Ciò che bisognava fare, era stato fatto. Ciò che bisognava scrivere, era stato scritto.

Adesso sì, tutto era pronto e i musicisti potevano schierarsi per accompagnare con la Musica di Osiride le ultime operazioni di chiusura del sepolcro - il sacerdote sapeva che, da quel momento, non era più necessaria la sua presenza nella tomba.

Prima di abbandonare l’anticamera, tuttavia, l’uomo si diresse verso un giovane suonatore di sistro e gli consegnò tre piccole piramidi di legno ed una boccetta d’argento contenente un particolare unguento.

«Per chiudere la 'porta' che attira a sé l’energia del suono» - disse, gli occhi puntati con fierezza in quelli dell’altro, che già gli restituivano uno sguardo perfettamente complice.

Poi, senza aggiungere altro, socchiuse gli occhi e prese a salire lentamente i sedici gradini che lo avrebbero riportato all’aperto – sotto il cielo sacro d’Egitto, in una funesta alba di primavera…



- II -

Dalla parte dell’incertezza



«Il dubbio è uno dei nomi dell’intelligenza»

Jorge Luis Borges (1899-1986)


«Perché mai, o déi, due e due dovrebbe dar quattro?»

Alexander Pope (1688-1744)




Sosteneva, credo, Pierre Simon de Laplace (1749-1827), che Isaac Newton (1642-1727) era un uomo fortunato poiché in natura esiste una sola legge di Gravitazione Universale ed era stato proprio lui a scoprirla. Ed ancora, in apertura al suo famoso “Saggio filosofico sulle probabilità” (1812), che:

“un’Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda da sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti più grandi dell’universo e dell’atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi (…)”.

Stiamo parlando, ovviamente, di quella visione analitica ed estremamente razionale della Natura che viene ricordata ancor oggi col nome di “determinismo” laplaciano, e che rappresenta il leitmotiv che accomuna un po’ tutte le opere del grande studioso francese.

D’altra parte, quando all’inizio dell’Ottocento Napoleone chiedeva proprio a Laplace come mai, in un’opera monumentale qual era la sua “Meccanica celeste”, l’autore non avesse mai ipotizzato l’esistenza di Dio, Laplace rispondeva che per scriverla non gli era stato "necessario servirsi di quell’ipotesi…"


David Hilbert

Sosteneva - e qui sono sicuro - David Hilbert (1862-1943), sul finire dell’Ottocento, che la Matematica, ovvero tutto ciò che in essa si afferma potesse essere ricondotto semplicemente ad alcuni assiomi di partenza opportunamente scelti, sulla base dei quali poter dimostrare, appunto, ogni proposizione interna alla matematica stessa - anzi, direi che questo rimase il sogno più grande del padre del formalismo matematico.

Oggi sappiamo che tanto Laplace quanto Hilbert si sbagliavano. Tuttavia, anche se sono crollate sia le certezze del determinismo sia quelle del formalismo, direi che siamo immensamente più ricchi, essendosi aperti davanti a noi, d’un tratto, nuovi orizzonti di ricerca.

In Fisica c’è una differenza sottile, ma non banale, tra ciò che si definisce “Legge” e ciò che si definisce “Principio”.

Le leggi vengono provate in laboratorio e descrivono, in sintesi matematica, la natura di un fenomeno.

È una precisa “Legge”, ad esempio, quella che descrive il fenomeno per cui la Terra ruota intorno al Sole - la “Gravitazione Universale”, già ricordata più sopra - oppure quella che descrive in che modo due corpi puntiformi carichi si attraggono o si respingono – la “Legge di Coulomb”.

Un “Principio” è molto di più: è qualcosa che nessuno ha mai smentito e di conseguenza costituisce il fondamento di una determinata parte della Fisica.

Sono principi quello di “inerzia” oppure quello di “conservazione dell’energia meccanica” (sistemi conservativi); è un principio, ancora, quello secondo cui, se due corpi sono posti a contatto, il calore fluisce “spontaneamente” sempre dal corpo a temperatura maggiore a quello a temperatura minore, fino a che entrambi non si portano all’equilibrio termico (variante del “Secondo Principio della Termodinamica”).

Essi affermano proprietà così evidenti e sempre verificate - almeno nell’ambito della Meccanica classica - che sarebbe riduttivo definirli leggi.

Quasi sempre un principio definisce anche un limite imposto dalla natura.

Supponiamo di conoscere, ad un dato istante, la posizione esatta occupata da un elettrone che si stia muovendo in una regione dello spazio. In questo caso, l’esperienza prova che non potremo mai risalire, in alcun modo, alla velocità esatta della particella in quello stesso istante.

Viceversa, se conoscessimo in modo esatto la sua velocità, allora non riusciremmo mai ad ottenere alcuna informazione valida sulla sua posizione.

Tale limite, imposto dalla natura indipendentemente dall’abilità di chi conduce le misure, prende il nome di “Principio di indeterminazione” di Heisenberg (1927) e può essere considerato il punto di partenza della cosiddetta “Meccanica Quantistica”, ovvero quella parte della Fisica moderna che fonda su leggi probabilistiche e secondo cui, il semplice atto di “osservare” un certo fenomeno fisico produce effetti sul sistema osservato ed interagisce con esso.

Com’è facile intuire, si tratta di un principio assolutamente incompatibile col determinismo laplaciano e le cui conseguenze aprono scenari del tutto inimmaginabili in passato.


Se in ambito fisico lo spettro dell’incertezza si chiama “indeterminazione”, e fa capo al già citato principio di Heisenberg, in matematica prende il nome di “indecidibilità”, e fonda su uno dei più importanti teoremi che siano mai stati dimostrati.

Werner Heisenberg


In matematica, un “assioma” è un’affermazione che viene assunta vera senza che la si dimostri. Un teorema invece è un’affermazione a cui si giunge, per dimostrazione, partendo da alcuni presupposti iniziali considerati “veri” e a cui si dà il nome di “ipotesi” - si pensi ad esempio al celebre “Teorema di Pitagora”, che esprime una precisa proprietà relativa ai lati di ogni triangolo rettangolo…

Uno degli assiomi più noti è probabilmente quello delle parallele introdotto da Euclide nel III secolo a.c., sulla base del quale, in sostanza, due rette parallele non hanno punti in comune.

Questa affermazione non si dimostra e partendo dal suo contenuto si riesce a costruire quella che chiamiamo “Geometria euclidea”, spesso utile per una descrizione razionale del mondo visibile.

Se, però, si assume per assioma che due rette parallele abbiano un punto in comune, allora è possibile costruire una nuova geometria, non euclidea, altrettanto coerente e che trova notevoli applicazioni in diversi campi della scienza.

Quali che siano gli assiomi scelti su cui fondare una teoria matematica formale, è ragionevole pensare che essi debbano costituire sempre ciò che viene detto un “sistema coerente e completo”.

Affinché un sistema di assiomi sia coerente (non contraddittorio), deve accadere che, partendo dagli assiomi, non si giunga a dimostrare che una certa affermazione risulti contemporaneamente vera e falsa.

Affinché il sistema risulti, invece, completo, è necessario che ogni affermazione (o la sua contraria) all’interno della teoria costituisca un “teorema”, cioè un asserto “dimostrabile”.

Come già accennato, su tale presupposto di coerenza e completezza fondava appunto il più grande sogno di Hilbert: riuscire a trovare il migliore dei sistemi assiomatici possibili, cioè quel sistema di assiomi, coerente e completo, a cui ricondurre non una precisa teoria matematica, ma addirittura “tutta” la Matematica.

Prima di proseguire, prendiamo in considerazione la seguente affermazione, nota anche come paradosso di Epimenide, noto filosofo dell’antichità.

http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_del_mentitore

Epimenide afferma:

«Io sono un mentitore»

Se volessimo stabilire se tale proposizione è dimostrabile, sorgono problemi.

Ammesso che sia “vera”, infatti, avremmo che Epimenide starebbe affermando una cosa vera dichiarando, però, di essere uno che mente, e dunque ci sarebbe un’evidente contraddizione.

D’altra parte, l’affermazione non può essere neppure “falsa” (il che equivarrebbe ad ammettere che è vera la sua contraria), poiché, in questo caso, avremmo che Epimenide sarebbe uno che dice il vero, ma il suo affermare di essere un mentitore porgerebbe ancora una volta una contraddizione.

Quella appena considerata è un esempio di proposizione “indecidibile”, cioè una proposizione della quale, se riuscissimo a dimostrare che è vera o che tale è la sua contraria, avremmo in ogni caso una contraddizione, con conseguente perdita di coerenza del sistema in cui sia stata definita.



Kurt Godel e Albert Einstein

L’esistenza di tali proposizioni costituì motivo di grande imbarazzo per i matematici di fine Ottocento, ma all’inizio del nuovo secolo fu anche il punto di partenza degli studi di Kurt Gödel (1906-1978), un giovane matematico austriaco autore di un teorema – in realtà due teoremi, il secondo ancora più destabilizzante del primo - tra i più straordinari della letteratura scientifica di ogni tempo.

Cerchiamo di capire il perché.

Supponiamo, per un attimo, di essere riusciti a costruire un sistema formale di assiomi matematici che fondi sulla coerenza, cioè un sistema che, se si utilizzano le regole della logica, non consenta di provare che una qualche affermazione interna al sistema è contemporaneamente vera e falsa.


Ebbene, il “Teorema di incompletezza” di Gödel (1931) stabilisce che un tale sistema non potrà mai essere “completo”, il che equivale a dire che esisterà sempre, all’interno del sistema stesso, almeno un’affermazione “indecidibile”, cioè un’affermazione “vera” e pur tuttavia non dimostrabile!

Ma la questione è ancor più sottile.

Se volessimo aggirare l’ostacolo decidendo di elevare ad assioma tale affermazione (assumendo vera, indifferentemente, essa o la sua contraria), in modo da non doverla più dimostrare (si ricordi che un assioma è, per definizione, un’affermazione vera che non si dimostra), il nuovo e più ampio sistema che verremmo così a costruire porterebbe nuovamente, al suo interno, almeno una proposizione indecidibile.

Si tratta di un risultato eccezionale, la cui importanza non poteva essere colta e accettata rapidamente dalla comunità scientifica del tempo. Occorreva un sacrificio: bisognava voltar pagina e diventare improvvisamente adulti, abbandonando per sempre un sogno – quello di Hilbert – assolutamente irrealizzabile.

Malgrado gli ostracismi iniziali, alla fine anche i più conservatori dovettero arrendersi all’evidenza dei fatti e riconoscere il genio di Gödel. Quest’ultimo, nel 1978, ormai malato di mente, si sarebbe lasciato morire di denutrizione in quanto convinto che qualcuno avesse intenzione di avvelenarlo.

La grandezza del suo teorema, naturalmente, è sopravvissuta. E per l’enorme contributo che il suo autore ha dato alla Matematica, all’inizio del nuovo millennio, non a caso, Time ha indicato proprio in Kurt Gödel “il matematico più rappresentativo del ventesimo secolo”.

Il “Principio di indeterminazione” di Heisenberg ed il “Teorema di incompletezza” di Gödel rappresentano due dei più importanti risultati della conoscenza umana. Il primo è appannaggio della Fisica, l’altro della Matematica.

Entrambi, se da una parte hanno aperto una voragine in ambito scientifico mostrando l’impossibilità di risolvere in positivo la cosiddetta “Crisi dei Fondamenti”, dall’altro hanno creato nuovi campi di indagine e dato vita, soprattutto, ad un nuovo modo di pensare.

Faremo bene a ricordarcene tra un attimo, quando prenderemo in considerazione i fenomeni connessi col suono e la sua percezione…




- III -

“Provando e riprovando”




«Ogni grande progresso scientifico è scaturito da un nuovo atto d'audacia dell'immaginazione»

John Dewey (1859-1952)



«La mente che si apre ad una nuova idea non torna mai alla dimensione precedente»

Albert Einstein (1879-1955)


Palermo, agosto 2008…


La città si è svuotata per le ferie estive ed un uomo si aggira da solo tra le mura di un negozio del centro. Da più di trent’anni vende apparecchi per riprodurre la Musica, ovvero, come si dice in gergo più colto, per ascoltare in “alta fedeltà”.

Il suo negozio è senza dubbio il più noto in città. Uno dei pochi che sia sopravvissuto alla crisi del settore di metà anni Novanta senza doversi convertire all’home theater, l’unico in cui si rimanga affascinati dalle nobili capacità affabulatorie del proprietario: e lui ne è consapevole.

Sa pure che la Palermo “audiofila” – altro termine di dubbio significato – è divisa da sempre in due distinte categorie, senza via di mezzo: quella costituita da chi ammira le sue idee in ordine alla riproduzione del suono e quella che invece le detesta ritenendole, per usare un eufemismo, “alquanto originali”.

Ha deciso di non chiudere l’esercizio per le ferie estive, se non le domeniche ed il giorno di ferragosto, perché deve portare a termine alcuni esperimenti che ormai da alcuni mesi lo assillano e gli tolgono il sonno.

Ogni tanto la porta si apre, entra qualche amico per un veloce saluto o acquistare qualche accessorio di poco conto da portare in vacanza; lui lo saluta, lo intrattiene per cortesia con due chiacchiere veloci, ma in realtà non vede l’ora che l’avventore se ne torni da dove è venuto, così che lui possa riprendere a dedicarsi alle sue elettroniche e ai suoi esperimenti.

Certo, ne è passato di tempo da quando, a metà degli anni ’80, il suo negozio era stato tra i primi a far ascoltare alla città quei diffusori Made in Italy che presto avrebbero fatto impazzire gli americani; diffusori bellissimi esteticamente e a detta di molti anche dall’ottimo suono, ma che tuttavia lui riusciva a far suonare ancora meglio intervenendo direttamente sul filtro crossover.

Un tempo il negozio pullulava di gente e soprattutto di giovani che coltivavano la passione per la riproduzione della musica: sembra sia passato un secolo da allora, giacché le nuove generazioni oggi sono distratte più dall’informatica e dalla cosiddetta “musica liquida” che non dalle elettroniche con cui viene riprodotta la musica.

Ci sono giorni in cui il negozio rimane completamente deserto, ma ciò non è motivo di depressione per il nostro uomo, anzi…

Lo sarebbe stato probabilmente nei già ricordati anni d’oro, quando le esigenze familiari imponevano il raggiungimento di una “posizione” per garantire un futuro roseo a sé, a sua moglie e soprattutto ai suoi figli.

Ma adesso che i figli sono cresciuti e una certa stabilità economica è stata raggiunta, il nostro uomo può permettersi di sperare che nei giorni in cui si sente, per così dire, “ispirato”, non si presentino clienti a disturbare le sue nuove occupazioni in materia di riproduzione sonora.

In primavera, per caso, dopo più di trent’anni è tornato a prendere in considerazione le idee drammaticamente strambe di uno studioso inglese di nome Peter William Belt, sua vecchia conoscenza.

Questo studioso – che forse sarebbe più esatto definire “alchimista del suono” - sostiene che sia possibile modificare in meglio la percezione della musica riprodotta da un sistema audio spalmando, ad esempio, piccole quantità di dentifricio su alcuni punti strategici delle elettroniche, oppure semplicemente posizionando la fotografia di un proprio caro su un diffusore o dei cristalli di sale su un lettore di cd.

All’inizio il nostro uomo ha sorriso rileggendo quei consigli dati da un appassionato con idee sicuramente molto più originali delle sue. Poi, però, si è ricordato di una prova di ascolto effettuata un pomeriggio nel suo negozio, e la sua mente ha cominciato a galoppare senza più fermarsi…

Quel pomeriggio suonavano due diffusori di punta del già citato – tra le righe – marchio italiano. Qualcuno, distrattamente, aveva poggiato un semplice foglio di carta su uno dei diffusori, e in quella sessione di ascolto le sue navigate orecchie avevano percepito il suono in modo nettamente diverso rispetto a tante altre volte.

In quel momento non era riuscito a stabilirne la causa, ma qualcosa dentro di lui lo aveva convinto che si trattava di un’esperienza estremamente interessante, degna di essere cristallizzata in un angolo del cervello piuttosto che essere consegnata all’oblio.

Un giorno di primavera, la rilettura delle originali idee di Belt ha fatto riaffiorare con prepotenza dentro di lui quel ricordo. E da allora, nulla è stato più uguale a prima per il nostro uomo…

Non sappiamo se in gioventù il negoziante protagonista di questa storia si fosse mai imbattuto nel motto degli Accademici del Cimento, di medicea memoria: “Provando e riprovando”.


È certo, però, che dal momento in cui ha realizzato che gli originali consigli di Belt potevano avere un fondo di verità, le prove nel suo negozio non hanno avuto più fine e si sono protratte, come già detto, per tutta l’estate del 2008, trovando finalmente un punto d’arrivo in quella che chiameremo “la svolta del pennarello”.

Esiste un forum, oltre che un sito, in cui è possibile venire a conoscenza dei consigli pseudo-audiofili di Peter Belt. Ad una domanda precisa del nostro uomo, qualcuno del gruppo di Belt ha risposto che l’efficacia dei tweak – si chiamano così i “ritocchi” operati in ambito audiofilo e non solo – sarebbe risultata potenziata dall’utilizzo di uno speciale pennarello in vendita sul sito al costo di 50 sterline.

Un pennarello, a conti fatti, è un veicolo di un qualche agente chimico che contribuisce alla colorazione: niente di più, niente di meno. A quel punto, la strada lungo la quale indirizzare la sperimentazione era tracciata.

Nell’estate del 2008 il negozio è rimasto deserto per lo più tutti i giorni.

Le prove si sono susseguite a ritmo incessante, il nostro uomo ha preso in considerazione centinaia di pennarelli ed altrettante colorazioni di oggetti diversi.

L’alchimista inglese e i suoi consigli alquanto “originali” sono usciti lentamente di scena, ma qualcosa di importante è rimasto: il venditore protagonista della nostra storia ha trovato la combinazione - o colorante chimico che dir si voglia - ideale con cui trattare piccoli oggetti lignei al fine di renderli tali da modificare, se inseriti opportunamente in ambiente, non già il suono in sé, ma la sua percezione da parte di chi lo ascolta.

Eccolo, dunque, il nostro uomo intento a trattare con quel composto ora delle piccole piramidi di legno ora dei bottoncini di ebano ora delle piccole strisce di stoffa, e posizionare poi i legnetti e le strisce così trattate tra le elettroniche e i cavi di alimentazione.

Ed eccolo, un attimo dopo, avere la conferma che il suono riprodotto è percepito in modo effettivamente diverso: più arioso, più definito, più liquido, con gli strumenti non più irrealisticamente gonfi o proiettati in avanti, ma perfettamente localizzati e focalizzati nello spazio.

In una sola parola: un suono percepito in modo inspiegabilmente "più ordinato"....


Pandora
http://it.wikipedia.org/wiki/Pandora


- IV -



Il vaso di Pandora





«La cosa più importante che insegna la scienza è dire: “Non lo so”.»

Luigi Luca Cavalli-Sforza




Questa storia somiglia ad un romanzo giallo, eppure è maledettamente semplice.

Per certi versi mi ricorda quello straordinario romanzo che è “Il Profumo” di Patrick Süskind, con l’eccezione che qui nessuno commette omicidi scellerati per giungere all’obiettivo prefissato e che il protagonista di questa storia non finirà sbranato da alcun popolo audiofilo – …almeno si spera.




Un fatto di sangue, tuttavia, è stato commesso anche qui. Non l’uccisione di una persona fisica, ma un atto simile a quello perpetrato, in ambito scientifico, da Gödel e Heisenberg all’inizio del secolo scorso: vittima designata, ancora una volta, la “certezza”, nella fattispecie quella delle “misure” relative alla riproduzione sonora.

L’aver messo a punto questo insolito composto, capace di modificare la percezione della musica riprodotta, è stato per il nostro negoziante come l’aver dischiuso un Vaso di Pandora nell’ambito della psicoacustica, un vaso di cui nessuno avrebbe mai sospettato l’esistenza.

Nessun male, tuttavia, ne è venuto fuori per involarsi tra gli uomini e contaminare le loro nobili orecchie, anzi, gli esperimenti con i legnetti chimicamente trattati hanno piacevolmente richiamato non solo la curiosità e l’attenzione di moltissimi appassionati, ma anche quelle dei tecnici accreditati. E se i comuni mortali non hanno trovato spiegazione ai miglioramenti - percepiti quasi all’unanimità - del suono riprodotto dopo l’interposizione dei tweak lignei, i tecnici hanno proposto, invece, una loro spiegazione scientifica.

Secondo i tecnici, in pratica, l’interposizione dei tweak porterebbe ad un miglioramento solo “apparente” e non reale della percezione della musica riprodotta, miglioramento riconducibile ad una sorta di “principio di selezione” fisiologico dell’orecchio umano.

L’orecchio umano, in sostanza, se sottoposto a successive prove di ascolto di uno stesso brano, avrebbe la capacità di effettuare una sorta di “pulizia”, se non addirittura di cancellazione di alcune frequenze riconosciute fastidiose all’interno del messaggio sonoro.

Dopo qualche ascolto di un determinato brano, pertanto, ogni individuo percepirebbe un miglioramento della musica riprodotta a prescindere dalla presenza o meno in ambiente dei legnetti trattati.

Solo un condizionamento mentale, dunque? Nessun miglioramento reale della percezione sonora? E come spiegare, allora, l’immediata involuzione di tale percezione sonora conseguente alla rimozione dei legnetti?



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Se un effetto positivo gli studi scientifici hanno avuto sulla mia formazione, si tratta senz’altro della capacità che mi hanno donato di accostarmi con fiduciosa curiosità verso l’alterità e l’incertezza - sembra strano, ma tant’è. Era naturale, dunque, che una volta venuto a conoscenza degli esperimenti del nostro uomo, decidessi di effettuare anch’io alcune prove nel mio impianto.

Le prove si sono protratte per un paio di settimane, in diverse condizioni di ascolto e utilizzando diverse combinazioni di tweak chiesti in prestito, e i risultati sono stati a mio giudizio significativi.

L’ambiente da me destinato all’ascolto della musica è trattato con un paio di arazzi alle pareti ed un ampio tappeto dinanzi alla linea dei diffusori; non sono presenti, inoltre, mobili particolarmente ingombranti. Le dimensioni sono di circa 16 mq ricavati all’interno di un ambiente di circa 24 mq. Nel complesso, credo possa esser considerato un ambiente più che accettabile per riprodurvi della musica.

L’impianto è costituito da quattro elettroniche – lettore cd, convertitore, tuner ed amplificatore integrato – e due diffusori da pavimento (non citerò qui le marche poiché non lo ritengo significativo). Si tratta, a mio avviso, di un impianto di buon livello che suona con una timbrica sostanzialmente neutra e riproduce una scena molto ampia ed altrettanto alta.

Quasi tutte le prove sono state effettuate ascoltando due brani molto diversi tra loro, aventi però in comune l’ottima qualità della registrazione: “Otto e mezzo”, tratto dal cd “Voci di Luna” (Velut Luna) e “Stimela”, appartenente alla raccolta audiophile del cd “Burmester Reference 3”.

Conosco perfettamente il suono del primo cd – flauto e pianoforte - avendolo elevato da tempo a riferimento per il settaggio del mio impianto. Il realismo del flauto e la profondità del pianoforte di questo cd, ed in particolare del brano citato, mi hanno sempre dato utili indicazioni su cosa e come modificare per ottimizzare le prestazioni delle elettroniche.

D’altra parte, “Stimela” è un capolavoro di jazz fusion in grado di mettere a dura prova le capacità dinamiche dell’amplificatore e anche quelle di ascolto delle orecchie di un qualunque appassionato.

Posiziono due piccole piramidi di legno chimicamente trattate sul bordo superiore dei diffusori e faccio partire la riproduzione di “Otto e mezzo”. Risultato: ho la sensazione che la percezione del suono subisca un lieve peggioramento. Controllando meglio, però, mi accorgo di aver posizionato le piramidi in modo errato rispetto alle indicazioni (uno dei lati di base, contrassegnato in blu, va orientato infatti verso la parte esterna dei diffusori) e pertanto procedo subito a correggere il posizionamento dei tweak medesimi.

Allora sì, la sensazione che avverto è quella di un suono che si diffonde nella stanza in modo più morbido, col flauto che mantiene la stessa altezza e lo stesso realismo di sempre, ma che ora non appare più proiettato in avanti rispetto al pianoforte, bensì risulta perfettamente integrato con esso.

Sia ben chiaro, non si tratta di un cambiamento drastico, ma di una piccola, importante sfumatura che certamente non passa inosservata al mio ascolto.

Passo alla riproduzione di “Stimela”, e poiché la curiosità si è ormai fatta strada, porto direttamente la lettura del brano all’assolo della tromba. Anche qui la sensazione è la stessa: c’è qualcosa di nuovo nella riproduzione sonora, adesso è come se lo strumento avesse acquistato le giuste dimensioni ed il suono risultasse meglio integrato con quello delle voci e dei rimanenti strumenti.

Non appena provo a descrivere con un paragone ciò che sento, la prima cosa che mi viene in mente è che, con il posizionamento dei legnetti, tanto il flauto di prima quanto la tromba che sto ancora ascoltando si siano arricchiti, se possibile, di una loro nuova coerenza interna ed abbiano smesso di “strillare”.

Per quanto lieve, direi che il miglioramento è stato percepito nettamente dalle mie orecchie ed ha avuto ricadute positive soprattutto a volumi di ascolto piuttosto sostenuti. Non credo di aver notato, inoltre, un significativo “tempo di ritardo” dall’istante in cui ho sistemato i tweak a quando è mutata la percezione del suono: come dire che i legnetti agiscono “da subito”.

Le successive prove hanno visto il posizionamento di una piramide alla volta su ciascuna delle elettroniche. Risultato: l’effetto prima descritto è diventato più evidente ed ha raggiunto il suo apice quando è stata sistemata una piramide sullo chassis dell’amplificatore.

In un secondo momento, le piccole piramidi poste sui diffusori sono state sostituite da due altri legnetti, questi di forma tondeggiante, simili a due piccole pastiglie. Ebbene, sono praticamente certo che la loro azione abbia prodotto un ulteriore miglioramento rispetto a quanto da me udito con il posizionamento dei legnetti di forma piramidale – forse perché il loro profilo curvo meglio si adattava alla curvatura posteriore dei miei diffusori?



* * *


Le ultime prove hanno coinvolto dei nastrini chimicamente trattati.

Ho provato a legarne alcuni ai cavi dell’alimentazione, ma in questo caso non mi pronuncio sugli eventuali effetti prodotti: le sfumature sono state talmente lievi, infatti, che non posso escludere condizionamenti di natura psichica. Aggiungo però che, nel dubbio, ho preferito lasciarli piuttosto che rimuoverli.

L’interposizione dei legnetti, a mio giudizio, non ha avuto influenza sulla timbrica sonora: quella è rimasta identica a se stessa e quindi sostanzialmente corretta. Il cambiamento ha riguardato piuttosto la “mutua integrazione” degli strumenti riprodotti, le cui sonorità sono state percepite in un quadro d’insieme più equilibrato e naturale.

Questo fatto è già di per sé sorprendente.

Stiamo parlando, infatti, di un miglioramento che nulla ha a che vedere con quelli solitamente indotti dalla sostituzione di un’elettronica, di un cavo oppure di una coppia di valvole.

Se in quel caso, infatti, il cambiamento/miglioramento è più o meno riconducibile alla variazione di alcuni parametri elettrici di componenti attivi e/o passivi, e si traduce quasi esclusivamente in una maggiore o minore estensione di tutta la gamma di frequenze, qui invece ci troviamo dinanzi ad un “miglioramento delle condizioni generali di ascolto”, come se l’aria attorno all’ascoltatore, l’ambiente e tutto ciò che ci sta dentro venissero “ripuliti” da ostacoli virtuali di natura, ahimè, assolutamente indecifrabile.

Se fosse realmente così, rimarrebbe aperta almeno un’altra questione.

Posto infatti che, come sembra, il miglioramento della percezione sonora apportato dai tweak testati sia effettivamente ricollegabile ad un’interazione con l’ambiente oltre che con le elettroniche deputate alla riproduzione della musica, allora una misura di tale miglioramento lo si dovrebbe cogliere anche durante un’esecuzione dal vivo, magari in presenza di una piccola orchestra che suoni qualche pezzo di musica da camera.

Questa congettura potrebbe essere oggetto di una futura verifica e non è escluso che, proprio dal suo esito si possano ottenere importanti indicazioni per svelare il principio di funzionamento dei legnetti in esame.

Complessivamente, ritengo che, nel mio impianto, l’azione dei tweak abbia influenzato soprattutto la percezione del suono degli strumenti a fiato.

Inutile precisare che, la rimozione di tutti i tweak utilizzati ha fatto riemergere immediatamente quel senso di “sottile disordine” nella riproduzione di alcuni strumenti di cui non mi ero mai accorto prima.

Non aggiungo altro. Non c’è altro da aggiungere.

Diceva Proclo – noto cronista dell’antichità – che “Ovunque c’è il numero, c’è bellezza”.



Verissimo, a mio avviso. Ma non saranno i “numeri”, in questo caso, e cioè le “misure tradizionali” a mettere in pace l’animo di chi volesse spiegare senza preconcetti qual è l’effetto dei legnetti sulla percezione del suono.

La timbrica del suono di uno strumento è notoriamente legata alla forma d’onda del suono stesso. Se non cambia la timbrica, non cambia la forma d’onda e c’è ben poco da misurare. Lo stesso dicasi per i rimanenti caratteri distintivi, ovvero l’intensità e l’altezza, che sono legate rispettivamente all’ampiezza dell’onda e alla sua frequenza.

L’unica ipotesi che mi sento di avanzare io, dopo diverse prove, è che l’azione dei tweak annulli un qualche conflitto di natura oscura che fino a ieri, ascoltando la musica, non avevamo mai avvertito, ma che la presenza in ambiente dei legnetti chimicamente trattati ha adesso drammaticamente rivelato.

Tuttavia, se qualcuno mi chiedesse qual è, a mio giudizio, l’esatta funzione svolta da tali legnetti, ovvero sulla base di quali leggi della fisica essi agiscano, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche non avrei alcun timore a rispondere: «Non lo so.»






Memorie da un futuro prossimo lontano – …quasi un Epilogo




«Non sappiamo ancora con certezza né quale sia il meccanismo
matematico con cui descrivere il campo totale nello spazio né a quali leggi
invarianti e generali questo campo totale sia soggetto. Ma una cosa appare certa:
il principio generale di relatività sarà uno strumento indispensabile
ed efficace della soluzione di questo problema del campo totale.»


da Albert Einstein, “Pensieri degli anni difficili” – Boringhieri (1965)


«Alle favole e alle parabole non si pongono domande, né da loro si hanno risposte;
o si ricevono tutte le domande e tutte le risposte.»

Pietro Citati, a proposito del “Flauto magico” di Mozart (1756-1791)





Stoccolma, giovedì 10 dicembre 2099.



Il professore non voleva darlo a vedere, ma in realtà era indubitabilmente emozionato.

I fisici avevano inseguito quel risultato per quasi due secoli, instancabilmente, con la stessa lena con cui un archeologo si dedica alla ricerca del Graal. Ed alla fine era stato proprio lui a raggiungere la meta tanto ambita.

Nella hall che introduceva alla grande sala allestita per la premiazione, il caos era totale. Giornalisti e fotografi cercavano di immortalare i nuovi vincitori del premio Nobel con quanto di più efficace la tecnologia potesse loro offrire, ovvero fotocamere digitali-quantistiche e video a risoluzione fotonica direttamente collegati con le redazioni di appartenenza; i rappresentanti dell’Accademia Reale di Svezia badavano a dare le ultime indicazioni prima dell’arrivo del sovrano; gli uomini del servizio d’ordine radiografavano i presenti con speciali emettitori di campo magnetico in grado di rilevare la presenza in sala di qualunque tipo di arma o di ordigno.

Il professore sapeva che la maggior parte delle riprese e delle attenzioni erano dirette al suo indirizzo, e ciò non lo faceva certo sentire a proprio agio, schivo e riservato com’era. Ma cosa poteva farci?

Ad un certo punto, una giovane donna si diresse verso di lui e lo invitò a seguirla in un corridoio di collegamento non molto distante dalla sala in cui si consumava l’attesa.

«Pamina Benucci, per Rai-Globalsat. Professore, le spiace se le faccio qualche rapida domanda prima della premiazione?»

Per un istante il professore si stupì che la donna si rivolgesse a lui in italiano e non in inglese, come del resto tutti in quel luogo. Un attimo dopo, però, si tranquillizzò riflettendo che entrambi avevano comuni origini italiane.

«E come faccio a dirle di no, signorina! Lei mi ha appena salvato da una vera e propria crisi di panico» - rispose l’uomo con un largo sorriso sul volto.

Raggiunto il punto più riservato del corridoio, la giornalista cercò di sfruttare la ritrovata serenità dell’uomo di scienza - finalmente al riparo dagli strumenti sempre più invadenti della tecnologia – per ottenere qualche informazione esclusiva sulla teoria che stava per consegnarlo alla storia quale vincitore del premio Nobel per la Fisica.

«Allora, professore, che effetto le fa avere avuto la meglio laddove Einstein e molti altri non sono riusciti a proseguire?»

Di fronte a quella domanda, l’uomo arrossì d’imbarazzo, poi rispose con la calma di chi conosce profondamente ciò di cui sta parlando.

«Le dirò, le teorie di “Grande Unificazione” sono state oggetto di studio per noi fisici per quasi due secoli. Penso semplicemente che con le mie ricerche io abbia posto l’ultimo anello ad una catena che era già diventata lunga abbastanza perché tutti ci convincessimo che pensare ad un’Equazione ‘del tutto’, capace di riunire in sé le quattro Forze fondamentali della Natura, senza per questo entrare in conflitto con la 'Teoria della Relatività', fosse un’idea tutt’altro che malsana. Ritengo che il merito del risultato che ho raggiunto sia da condividere senz’altro con tutti coloro - e non sono pochi - che mi hanno preceduto.»


La donna, che a dispetto della tecnologia del suo tempo preferiva ancora prendere appunti su di un piccolo taccuino nero, aveva annotato ogni parola del professore, ed ora si preparava ad incalzarlo con domande più specifiche atte a far luce sugli studi che lo avevano condotto ad elaborare quella che ormai tutti chiamavano l’Equazione del tutto.

«Professore, non le chiederò quali siano le conseguenze che scaturiscono dalla sua scoperta: capisco che avrà modo di parlarne a lungo nei prossimi giorni. Mi piacerebbe sapere, invece, se è stato l’intuito o qualcos’altro a condurla verso la formulazione dell’Equazione del tutto.»

L’uomo abbozzò un sorriso. In fondo si aspettava una domanda di quel genere, e già pregustava il senso di stupore che avrebbe colto la sua interlocutrice quando lui avesse risposto alla sua domanda.

Inspirò profondamente e le rispose con un’altra domanda.

«Mi dica, che rapporto ha lei con la …Musica?»
La donna rimase un istante spiazzata dalla domanda dello scienziato. Cosa mai poteva c’entrare la musica con l’equazione del tutto?

«Ascolto prevalentemente Rock, Quantum-Music e Colonne Sonore. Qualche volta anche un po’ di Classica, ma solo le cose veramente famose. Mi sta forse dicendo che la musica l’ha accompagnata mentre cercava di mettere a punto la sua Equazione?»

L’uomo scosse leggermente la testa. Il suo sguardo era diventato improvvisamente immobile, ma pur sempre scintillante: stava richiamando alla mente alcuni ricordi, non c’era alcun dubbio.

«L’idea per giungere all’equazione me l’ha data mio nonno, a sua insaputa. Lui era una persona molto fuori dal comune: pensi, insegnava Matematica e Fisica eppure aveva il pallino della letteratura, scriveva di esoterismo e credeva nella reincarnazione e nella chiromanzia, oltre ad essere un profondo studioso degli antichi egizi e delle cattedrali gotiche. Insomma, un uomo di scienza sui generis, glielo assicuro. Era anche un appassionato di Musica, non solo quella che a tutt’oggi si ascolta ai concerti, ma anche quella che all’epoca si riproduceva in casa attraverso gli impianti.

Un giorno mi raccontò di un negoziante, suo amico, che partendo dalle idee di uno sperimentatore inglese era riuscito a mettere a punto un proprio composto chimico in grado di modificare la percezione della musica riprodotta. Mio nonno lo aveva soprannominato “Il Signore dei legnetti”, che in seguito mutò in “Lord Ringwood” su richiesta dell’amico stesso, poiché questo negoziante era solito veicolare il composto in ambiente mediante piccoli oggetti di legno, per lo più in forma di piramidi o dischetti.

All’epoca la cosa colpì molto mio nonno, anche perché, un giorno, decifrando alcuni papiri scoprì casualmente che anche gli antichi egizi, più di tremila anni prima, avevano messo a punto qualcosa di simile per migliorare nettamente la percezione del suono.

Lui mi diceva che gli egizi erano convinti che esistesse una sorta di “gate” all’interno del quale veniva risucchiata la maggior parte delle informazioni sonore. Orbene, pare che per ‘chiudere’ quel gate essi utilizzassero proprio delle sostanze chimiche molto simili a quelle messe a punto dal negoziante amico di mio nonno.»

«Intende forse delle sostanze chimiche in grado di interagire con delle ‘porte’ di collegamento tra universi paralleli, professore? Gli egizi possedevano tali conoscenze?» - intervenne con stupore la donna.

«Sì, è molto probabile signorina. Così come è quasi certo che gli egizi tali conoscenze le abbiano ereditate da una qualche civiltà ancor più evoluta della loro. Ricordo perfettamente le parole pronunciate da mio nonno quando terminò di decifrare i suoi papiri: “Aveva ragione Giorgio De Santillana”, mi disse. “Ciò che sapevano è talmente straordinario che possiamo crederci solo se allo stesso tempo crediamo a quella che De Santillana era solito definire una 'mano informatrice'”.»

«Si riferisce alla teoria secondo la quale alcune civiltà tra loro geograficamente lontanissime pare condividessero un notevole sapere comune, giusto? Un sapere proveniente da qualcosa di molto più antico, se ricordo bene...» - lo interruppe con interesse la giornalista.

«Proprio così. Il nonno era appassionato di archeo-astronomia ed era convinto che fosse esistita una qualche civiltà antichissima da cui gli egizi, ma anche altri popoli, avessero attinto le loro conoscenze, che le assicuro erano davvero notevoli. Questa tesi, tuttavia, non è mai stata provata con certezza.

Posso solo dirle che i miei studi sull’Equazione del tutto hanno avuto inizio proprio indagando l’esistenza di quello strano gate, rivelatosi poi la chiave di volta per giungere addirittura all’unificazione delle Forze.

Vede, per quasi due secoli, e cioè a partire da quella brillante sintesi elettromagnetica che è stato il trattato sull’elettromagnetismo pubblicato nel 1873 da James Clark Maxwell, ci siamo concentrati soprattutto sul campo elettro-magnetico e sulle due interazioni, forte e debole, del nucleare. Questa, purtroppo, è stata una scelta essenzialmente politica, inutile negarlo.

Così facendo, però, abbiamo trascurato l’unico campo che più di ogni altro interagisce con gli esseri umani fin dal loro concepimento: il campo gravitazionale. E dire che era tutto lì, davanti ai nostri occhi, che pure cercavano la verità altrove!

Se solo penso che una novantina di anni fa qualcuno, partendo da semplici esperimenti volti a migliorare l’ascolto della Musica, altro non faceva che perturbare quel campo a beneficio delle proprie orecchie, giungendo così ad un passo da una delle più importanti scoperte della Fisica…»

L’uomo fece una pausa ad effetto, anche per permettere alla giornalista di appuntare tutto quanto aveva detto. Poi riprese a parlare con rinnovato entusiasmo...



«Ah, signorina Benucci! La scienza è proprio strana. Forse sarebbe il caso di chiedersi se ciò che oggi riteniamo abbastanza generale da costituire una nuova teoria, non sia invece da considerare, a sua volta, solo un frammento di qualcosa di ancor più generale ed imperscrutabile che scopriremo domani. Una sequela di scatole cinesi, insomma, che non sappiamo se mai avrà fine ed eventualmente dove.»

«Affascinante!» - esclamò la donna. «Ma possiamo almeno ritenere che oggi, con l’Equazione del Tutto, sia stato raggiunto il più generale dei risultati possibili?»

Lo scienziato abbozzò un lieve sorriso.

«Una goccia nell’oceano, signorina. Ecco cosa rappresenta, per quanto generale, la mia equazione. Rimangono aperte ancora molte questioni, come può facilmente intuire. Ad esempio, dobbiamo ancora estendere l’Equazione alla Cosmologia per cercare di comprendere una volta per tutte “cosa ci sia là fuori”» – l’uomo indicò un punto immaginario verso il cielo stranamente terso che si stagliava al di là di una finestra lungo il corridoio.

«E, d’altra parte, non dobbiamo neppure perdere di vista le correlazioni che di sicuro esistono con la Meccanica quantistica, il cui sviluppo nel secolo che stiamo per lasciarci alle spalle è stato davvero notevole. Quando riuscissimo a mettere a posto tutto ciò, allora sì, forse avremmo appena fatto capolino “sotto le lenzuola di Dio”, giusto per parafrasare Indro Montanelli, un noto giornalista del secolo scorso che mio nonno in gioventù ha amato molto. E lei crede davvero che tutto ciò sia possibile?»

La donna esplose in una sincera risata, divertita dal paragone portato dal professore.

«Io non ne ho idea. Piuttosto mi piacerebbe conoscere il suo pensiero in proposito.»

L’uomo annuì appena, quindi riprese a parlare.

«Sa cosa disse Einstein nel 1921, quando Dayton Miller si appigliò all’esito di alcuni suoi esperimenti per screditare la ‘Teoria della Relatività’ del grande scienziato? Disse che il “Signore è sottile, ma non malizioso”. Intendeva che spesso la Natura è bizzarra e lo sono anche le leggi della Fisica, ma si tratta di una bizzarria che mai degenera in ‘perversione’: dietro ad ogni evento, infatti, anche il più strano, ogni volta scopriamo un qualche disegno inatteso che sembra condurci verso un ordine superiore.

Negli ultimi anni ho ripensato spesso a questa celebre frase di Einstein, e se i risultati fin qui raggiunti dovrebbero instillarmi un cauto ottimismo, di fatto sono sempre più convinto che non riusciremo mai a sollevare del tutto quelle lenzuola. E forse è giusto così, mi creda. Dio è un po’ come Mozart: insieme all’indovinello ti dà la soluzione, sempre. Solo che, quando la individui, ecco che ti ritrovi dinanzi ad un altro e ancor più interessante indovinello.»

Il professore aveva terminato la frase strizzando un occhio alla giornalista, quando, all’improvviso, in lontananza si udì uno squillo di trombe. Subito dopo, una voce annunciò l’inizio della cerimonia per la consegna dei premi Nobel .

«Mi sa che è giunta l’ora, signorina. Devo fare ritorno nella bolgia dantesca, così abbigliato come un pinguino che ha appena lasciato i ghiacci! Fortuna che ho portato con me un piccolo ricordo del nonno per uscirne “indenne”» - disse l’uomo sorridendo, mentre mostrava alla giornalista una piccola piramide di legno che teneva stretta tra le mani…

Stava per avviarsi, quando la donna lo interruppe per un’ultima domanda.

«Mi perdoni, professore. Indovinerei se scrivessi che desidera dedicare a suo nonno il Nobel che le verrà assegnato a momenti?»

L’uomo ci pensò su un attimo.

«In effetti… lo meriterebbe. Se non altro per avermi rivelato che esiste sempre un punto di contatto tra il rigore delle scienze esatte e la parte più colta dell’Esoterismo, che poi altro non è se non la continua ricerca dell’Assoluto da parte di ogni essere pensante.

http://mysterium.blogosfere.it/2007/02/newton-lesoterico.html

Credo, però, che se dedicassi il Nobel solo a mio nonno farei un torto ad almeno altre due persone: lo studioso inglese - che si chiamava, mi pare, Peter William Belt - e quel negoziante di cui le ho raccontato, che purtroppo non ho mai conosciuto.»

Lo scienziato rimase qualche istante a pensare, poi guardò la piccola piramide portafortuna che teneva nella mano destra ed ebbe la stessa espressione di giubilo di chi riesca a risolvere un problema particolarmente spinoso.

«Ecco! Penso che lo dedicherò a chi è ancora in grado di credere nelle imprese impossibili, signorina, un po’ come ho fatto io nel corso dei miei studi, a dispetto della razionalità e di ciò che avrebbero suggerito i paradigmi della scienza ortodossa.

Sì, scriva proprio che lo dedicherò agli “audaci”. Sono sicuro che ne sarebbero felici tutti e tre: mio nonno, l’inglese ed anche quell’impavido di Lord Ringwood!»



VI -




Le ragioni di un racconto - ringraziamenti ed altro…




«Il suo nome, o lettori, ha origini nella Mezzaluna fertile.
Sempre beffe ei si fece di quel nome,
che pur risuona “atti di fede mormoni”»

….?


Queste poche pagine non sarebbero mai venute alla luce se non fossi stato incuriosito dagli esperimenti audiofili condotti dal mio concittadino Giuseppe Scardamaglia.

Mi sembra inevitabile, pertanto, ringraziare innanzitutto lui che senza saperlo mi ha fornito una storia da raccontare, facendomi così rimettere mano alla penna - anzi, forse sarebbe meglio dire alla “tastiera” del pc – in qualità di “narratore”, dopo un lungo periodo di riposo.

Giuseppe l’ho conosciuto un ventina di anni fa, quando io ero ancora un adolescente. All’inizio entrai nel suo negozio con l’intenzione di rimanervi solo pochi minuti, poi però finì che vi rimasi fino a sera.

Quando lo vidi, mi bastò notare che portavamo la stessa marca di scarpe – probabilmente eravamo i soli a calzarle nella Palermo di allora - per convincermi che si trattava di una persona estremamente interessante.

Oggi più che mai sono convinto di non essermi sbagliato.

Oltre al protagonista della storia che ho narrato, intendo ringraziare anche i seguenti altri amici: Flavia Radetti dell’Istituto Enciclopedico Italiano, che ha riletto con attenzione queste pagine prima che venissero poste on-line; Sebastiano Ribaudo, che ha atteso con trepidante curiosità che portassi a termine lo scritto; Tullio Amaducci, che mi ha fornito un suo parere sulla descrizione che ho proposto del “Teorema di incompletezza” di Gödel; l’utente “….?”, mio alter ego in questo forum, a cui temo di essermi irrimediabilmente affezionato; gli utenti tutti, noti e meno noti, per il rispetto e l’attenzione con cui hanno salutato il delicato argomento intorno a cui gira la storia.

Un grazie sincero, infine, a Bergat e alla redazione tutta di Audio Review per aver permesso che il racconto comparisse a puntate sul forum on-line della rivista, nonché all’appassionato audiofilo Luciano Milossa, che ha accettato la pubblicazione in contemporanea di queste pagine anche sul suo bel sito.

Esauriti i ringraziamenti, è necessario che faccia alcune precisazioni.

Innanzitutto, credo di dovere delle spiegazioni agli utenti del forum, che certamente si saranno chiesti cosa mi abbia indotto a scrivere un racconto come “La scienza, il suono, l’inglese e Lord Ringwood”, incentrato sul tema piuttosto spinoso dei tweak audiofili e - cosa che non ha precedenti - pubblicato a puntate sulle pagine del forum stesso.

La risposta è fin troppo semplice.

Dopo aver letto tutto e il contrario di tutto, in ambito audiofilo, sulla reale efficacia dei tweak lignei di cui ho narrato, volevo semplicemente far riflettere i lettori sui limiti della scienza e sui risvolti positivi dell’incertezza.

Lo scopo del capitolo in cui ho parlato di Gödel e Heisenberg, e in cui sono stati affrontati degli argomenti abbastanza “impegnativi”, era proprio questo.

Personalmente, trovo alquanto stupido stroncare una teoria o i presupposti di un esperimento sol perché rappresentano un elemento di rottura con la “tradizione”: anzi, direi che questo è un atteggiamento di chiusura piuttosto che un momento di crescita.

D’altra parte, riconosco pure che si tratta di una reazione tipicamente umana: difficilmente, infatti, siamo pronti ad accettare di buon grado ciò che riconosciamo come un elemento nuovo.

Alla luce di ciò, spero solo di essere riuscito almeno in parte nel mio intento.



* * *


La stesura del prologo, “La Musica di Osiride”, sebbene di fantasia è storicamente attendibile e le descrizioni sono assolutamente verosimili.

Poche sono le certezze che si hanno sul giorno e sulla causa della morte del giovane faraone Tutankhamen, il cui nome, ahimé, è stato consegnato alla storia più per quella presunta maledizione che si dice abbia colpito l’equipe di archeologi penetrati nella sua tomba che non per la straordinaria ricchezza del corredo funerario rinvenuto praticamente intatto all’interno della stessa.

Studi recenti confermano che il decesso sarebbe avvenuto in un giorno di primavera, probabilmente a causa di un incidente e non per mano di un assassino, come invece sostiene una tesi abbastanza diffusa.

A me è piaciuto immaginare che quel giorno, nel cielo d’Egitto, splendesse Amon-Ra.

Mi pare superfluo ricordare che oggi, senza questa eccezionale scoperta, non sapremmo quasi nulla degli usi e costumi degli antichi egizi. Invito i lettori, pertanto, a ricercare in rete proprio le foto delle “cose meravigliose” – oggi esposte quasi tutte al museo del Cairo - che Howard Carter e Lord Carnarvon (1866-1923) scoprirono all’interno del sepolcro di Tutankhamen nei mesi immediatamente successivi al 4 Novembre del 1922, giorno della localizzazione della tomba.

Il sistro che cito nello scritto era un tipo di strumento “a scuotimento” suonato dagli antichi egizi. Ne è stato ritrovato un esemplare proprio nell’anticamera del sepolcro, insieme ad altri strumenti musicali di ottima fattura.

Sempre all’interno del sepolcro, sono state ritrovate anche le due trombe citate nel testo, una delle quali utilizzata nel 1939 per una storica registrazione eseguita dalla BBC e a tutt’oggi ascoltabile in rete.

http://www.philharmonia.co.uk/thesoundexchange/the_orchestra/world_instruments/africa/


Tutto ciò che si legge nel breve saggio “Dalla parte dell’incertezza”, compreso l’aneddoto relativo a Laplace e Napoleone, è storicamente e scientificamente puntuale.

Anche se si tratta di un campo di mia chiara competenza, non posso escludere tuttavia di aver commesso degli errori - di cui mi assumo eventualmente la completa responsabilità - e ringrazio già d’ora tutti coloro che, rilevandoli, volessero gentilmente segnalarmeli.

Per non tediare i lettori, ho dovuto sintetizzare e semplificare il più possibile il contenuto del “Principio di indeterminazione” di Heisenberg e, soprattutto, il contenuto del “Teorema di incompletezza”: le loro rilevanze concettuali, comunque, mi pare siano state conservate e fanno da sfondo a quanto descrivo nel successivo “Provando e riprovando”.

Nella parte che porta tale titolo, ho narrato in forma romanzata l’avventura che ha condotto Giuseppe Scardamaglia a mettere a punto i tweak che sappiamo. Inutile chiedersi se le cose siano andate esattamente come le ho esposte: un racconto, per quanto ci si sforzi, è pur sempre soggettivo e mai oggettivo.

Ad ogni modo, quando nella parte successiva, “Il vaso di Pandora”, faccio riferimento al parere dei tecnici sui legnetti chimicamente trattati, ho riassunto fedelmente il loro punto di vista. Con altrettanta fedeltà direi che ho pure descritto le prove d’ascolto che ho eseguito a casa mia, utilizzando il mio impianto Hi-Fi.

La questione da me sollevata, cioè se i tweak lignei agiscano per migliorare anche la percezione della musica eseguita dal vivo, rimane a tutt’oggi aperta.

Auspico vivamente che vengano eseguite delle prove anche in questo senso: esse potrebbero darci delle utili indicazioni per stabilire se i legnetti interagiscano col campo magnetico prodotto dai diffusori e dalle elettroniche mentre sono in funzione oppure esclusivamente con l’ambiente. In quest’ultimo caso, l’ipotesi di un’interazione col campo gravitazionale sarebbe tutt’altro che romanzata…

Ciò che narro, infine, nell’epilogo: “Memorie da un futuro prossimo lontano”, ambientato nel 2099, è probabilmente frutto della fantasia.

Proprio così: “probabilmente”.

Gli studi matematici e la lettura di Borges mi hanno insegnato a refutare ogni forma di certezza. E per questo mi hanno reso “libero”.



* * *


Avendo puntualizzato quanto dovevo, non mi resta che avviarmi verso la conclusione.

Queste pagine iniziano narrando un evento luttuoso verificatosi più di 33 secoli or sono in un giorno di primavera, e la loro stesura è stata terminata in un altro giorno di primavera – tutt’altro che luttuoso - in cui la mia mente ha provato a guardare con ottimismo a 90 anni di distanza da oggi.

Credo si tratti di una coincidenza di buon auspicio.

Il 2099 non è lontanissimo, ma neppure dietro l’angolo.

Per allora, nessuno può escludere che si giunga ad elaborare una “Teoria del tutto” che, attraverso una qualche mirabile equazione, sintetizzi e descriva brillantemente le proprietà delle quattro Forze esistenti in Natura, la loro reciproca interazione e, non ultimo, la natura stessa dell’Universo, con conseguenze certamente notevoli sulle attuali conoscenze scientifiche.

Per allora, io non mi sento neppure di escludere che si ritorni a parlare – magari in un contesto scientificamente rivelato – dell’inglese Peter William Belt e di “Lord Ringwood” .


Palermo - Equinozio di primavera dell’anno del Signore 2009













2 commenti:

Davide R. ha detto...

Conosco bene l'ubicazione di quello che, a mio giudizio in modo troppo riduttivo, descrivi come il tuo "negozio". Ricordo che, circa 15 anni fa, varcai per la prima volta la soglia spingendo la porta di vetro con la cornice bordeaux, e rimasi affascinato dalle apparecchiature da ascolto che mi si paravano davanti. In tasca avevo 395.000 lire. I soldi giusti per comprare il mio primo lettore CD. Nonostante sapessi bene quale fosse lo scaffale sul quale era esposto l'apparato di riproduzione digitale che avevo deciso di acquistare, rimasi all'interno del tuo "negozio" più di un'ora.
Mi soffermai a osservare tutto quanto era in vendita, dagli amplificatori ai cavi e, dulcis in fundo, non so come, venni coinvolto nell'ascolto di due enormi diffusori della "Chario" che, ai tempi, avevano un costo enorme, molto al di sopra delle mie disponibilità di allora (e di adesso!!!). Non avevo mai sentito nulla del genere. Rimasi a dir poco affascinato. Avrei voluto farti molte domande, avrei voluto chiederti come era possibile che da due casse di legno potesse uscire un suono così perfetto...mi limitai ad un sorriso.
Comprai alla fine il lettore CD e tornai a casa. Ero particolarmente felice sia per l'acquisto che avevo appena fatto, sia perchè avevo capito che a due passi da casa mia esisteva un posto dove il suono veniva non solo ascoltato ma anche e, soprattutto, studiato.
Per la cronaca, quel CD player ce l'ho ancora e funziona a meraviglia. Ogni volta che lo accendo mi fa tornare in mente quel magnifico pomeriggio che, credimi, difficilmente scorderò.
Mi auguro di trovare il tempo per venirti a fare una visita...e magari questa volta un pò di domande te le faccio!
Ciao
Davide R.

Anonimo ha detto...

Eccezionale,complimenti .

Marcellojazz